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Parigi. Cafés, amis et impressions

Parigi, Museo del Louvre
Paul Cézanne. 1892
PLAY ME
Visitai il Louvre assiduamente,

assetato di quelle opere e di quelle stanze.
Là, ammiravo i capolavori di Caravaggio, Tiziano, Rubens, Michelangelo e delle più recenti tendenze dell'arte contemporanea. Iniziai a seguire i corsi dell'Académie Suisse, istituto formativo frequentato da una generosissima quantità di aspiranti pittori che, qui, cercavano modelli da ingaggiare a basso prezzo. Tra quei corridoi,


si instaurò la mia amicizia con Manet, Monet e Pissarro. A mio malgrado, il mio soggiorno a Parigi fu tutt'altro che fecondo. Mi feci bloccare dalle insicurezze e non riuscii mai a inserirmi nel tessuto sociale-artistico della capitale, che pure era variegato e fertile. Capii di essere il vero nemico di me stesso,
quando distrussi un ritratto al quale avevo lavorato per moltissimo tempo, ma che ritenevo indegno d'esistere... Per quanto accettassi l'Impressionismo e ne condividessi gli obiettivi, non mi identificai mai totalmente con esso. Per certi versi, infatti, mi ritenevo più un pittore "post-impressionista". Feci mio lo stile a macchia:

dipingevo a chiazze di colore, come se ogni pennellata fosse una tessera di mosaico, che acquistava un senso solo quando era unita alle altre nel ricomporre un oggetto e acquisiva definizione con lo spazio esistente tra quadro e spettatore. Usavo il colore per costruire le forme e, per questo, ogni pennellata era densa e stesa con energia.

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